Direttiva Acque: principio di non deterioramento dei corpi idrici e favor per le fonti energetiche rinnovabili. Le Sezioni Unite precisano i criteri di bilanciamento dei rispettivi interessi

L’ordinanza n. 35943 del 27 dicembre 2023, resa in una controversia attinente la realizzazione di un impianto di piccola derivazione ad uso idroelettrico, oggetto di VIA non favorevole da parte di una Regione, è stata l’occasione per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione di puntualizzare i presupposti di contemperamento tra diversi interessi che, pur essendo espressione di valori finalizzati alla protezione ambientale, necessitano di opportuno bilanciamento.

Nello specifico, infatti, si è trattato di verificare la legittimità del provvedimento regionale impugnato, ostativo alla realizzazione di un impianto progettato sì secondo criteri di sostenibilità da fonti di energia rinnovabile ma ritenuti non adeguatamente sufficienti (neanche in via di eccezione legislativamente prevista), alla luce del principio comunitario di precauzione che costituisce il cardine della politica ambientale europea e di cui il principio di non deterioramento dei corpi idrici è specificazione nell’ambito della Direttiva Acque.

Sul punto le Sezioni Unite hanno preliminarmente ricordato come la disciplina della materia (art. 4, par. 1, lett. i), Dir. 2000/60/CE) stabilisca che “gli Stati membri attuano le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali” e tale principio di non deterioramento “è stato recepito nell’art. 76, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 e fatto proprio anche dall’art. 12 bis r.d. n. 1775 del 1933, come sostituito dall’art. 96, comma 3, dello stesso d.lgs. n. 152/2006”.

Ha osservato, tuttavia la Corte come la regola dell’obbligatorietà delle misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato dei corpi idrici superficiali, soffra eccezione nelle fattispecie legislativamente previste e cioè “in presenza di una «incapacità di impedire il deterioramento da uno stato elevato ad un buono stato di un corpo idrico superficiale» che risulti «dovuto a nuove attività sostenibili di sviluppo umano»”.

Sotto tale aspetto, pertanto, la deroga è quindi ammessa in presenza di precise condizioni, tra cui quella dalla lett. b) dell’art. 4, par. 7, della direttiva («le motivazioni delle modifiche o alterazioni sono menzionate specificamente e illustrate nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall’articolo 13 e gli obiettivi sono riveduti ogni sei anni»), cui corrisponde, sul piano della disciplina statuale, la previsione contenuta nel cit. art. 77, comma 10 bis, lett. b), n. 2) (secondo cui le misure possibili per mitigare l’impatto negativo sullo stato del corpo idrico devono essere «indicate puntualmente ed illustrate nei piani di cui agli articoli 117 e 121 le motivazioni delle modifiche o delle alterazioni e gli obiettivi siano rivisti ogni sei anni»).

Ora – è così proseguito il ragionamento delle Sezioni Unite – sebbene già la Corte Costituzionale con la sentenza n. 148 del 2019 abbia riconosciuto che la disciplina delle fonti rinnovabili tende a favorire la produzione di energia pulita secondo standard di sviluppo sostenibile dal punto di vista energetico in osservanza degli obiettivi radicati in fonti sia internazionali che unionali, un tale riconoscimento può solo legittimare solo la considerazione dell’opportunità della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile.

Alla normativa interna (nello specifico delle singole Regioni), quindi, è certamente precluso adottare disposizioni in contrasto con questi principi, stabilendo divieti assoluti e inderogabili di realizzazione di impianti da energie rinnovabili oppure adottando provvedimenti amministrativi che neghino la realizzazione di tale finalità in assoluto.

Residua, viceversa, spazio per le Regioni per individuare, caso per caso, situazioni in cui l’interesse allo sfruttamento dell’energia da fonte rinnovabile debba essere recessivo rispetto ad altri interessi costituzionalmente protetti, che rispondano anch’essi a principi affermati a livello europeo.

Nell’esaminare, pertanto lo specifico caso oggetto di controversi, le Sezioni Unite hanno potuto accertare che “diversamente da quanto vorrebbe la ricorrente nella doglianza in esame, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha correttamente rilevato che il decreto regionale di VIA non favorevole, pur ostativo all’insediamento di un impianto di produzione FER, non esprimeva l’affermazione di un divieto assoluto ed inderogabile, ma trovava legittimazione all’esito del contemperamento con il concorrente interesse tutelato di non deterioramento del livello qualitativo del Rio Bosco nel contesto Ampezzano di ubicazione.
E questo approdo concettuale del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche risulta pienamente in linea, oltre che con la giurisprudenza CGUE da esso citata (…) anche con quella di queste Sezioni Unite (…) affermativa, sulla base della riportata disciplina UE, della prevalenza generale del principio eurounitario di precauzione, su quello del favor per la produzione di energia da fonti rinnovabili; sicché la preclusione alla realizzazione dell’impianto FER sul Rio Bosco, pur ridondando in un sacrificio dell’interesse, tutelato a livello comunitario e internazionale, alla produzione di energia cd. “pulita”, aveva trovato fondamento nel diverso interesse, anch’esso protetto dalla normativa europea, del ‘non deterioramento’ dei corsi d’acqua particolarmente fragili e al contempo valorizzabili perché recanti un livello di qualità tecnicamente individuato come elevato.
Resta, come si è anticipato, che anche il principio di non deterioramento di cui all’articolo 4 Direttiva Quadro Acque può trovare deroga ai sensi del paragrafo 7 lettera b) cit., a condizione che ‘le motivazioni delle modifiche o alterazioni siano menzionate specificamente e illustrate nel piano di gestione del bacino idrografico prescritto dall’articolo 13 e gli obiettivi siano riveduti ogni sei anni’; là dove, nel caso di specie, né il piano di gestione né il piano di tutela delle acque (PTA) indicavano deroga alcuna e, quindi, alcuna motivazione di scelte di pianificazione volte a sminuire e retrocedere il principio di non deterioramento, sia pure entro gli stretti limiti in cui ciò fosse consentito dalla Direttiva.
Altrimenti detto, il TSAP ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento e in particolare del principio, enunciato anche dalla giurisprudenza unionale, per cui l’obbligo di impedire un deterioramento continua ad essere vincolante in ogni fase dell’attuazione della Direttiva Quadro Acque applicabile ad ogni tipo e ad ogni stato di corpo idrico superficiale per il quale sia stato adottato un piano di gestione.
Sicché se un progetto sia ritenuto idoneo a determinare effetti negativi per il livello qualitativo della risorsa idrica, esso può essere autorizzato solo se siano previste e soddisfatte le condizioni dettate all’articolo 4, par. 7, lettere da a) a d), della medesima direttiva (….); evenienza di deroga eccezionale che, come detto, qui non ricorreva in base agli strumenti generali di governo normativo ambientale dei bacini e delle acque.”.

Leggi l’ordinanza n. 35943 del 27 dicembre 2023

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