La nomina del Presidente di un Consorzio di bonifica condannato in primo grado è soggetta alla c.d. Legge Severino e ai suoi decreti attuativi

L’incarico di Presidente di un Consorzio di bonifica, in quanto ente pubblico, non può essere conferito a chi ha subìto una condanna per peculato con pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.

Questa è la conclusione cui è giunta ANAC nella delibera n. 290 del 20 giugno 2023 e che mette in rilievo l’ennesima difficoltà di interpretazione delle normative applicabili ai Consorzi di Bonifica, la cui particolare natura di enti pubblici economici ma con organi gestòri prevalentemente eletti tra i consorziati, finalità istituzionali perseguite con risorse di provenienza privata, rapporti di lavoro regolamentati privatisticamente, esonero dall’osservanza delle norme sulla Tesoreria unica, pone lo stringente quesito se non sia ormai giunto il momento di un ripensamento del loro inquadramento sistematico se non, addirittura, dell’intera categoria degli enti pubblici economici.

Nel caso esaminato da ANAC la delibera in discorso ha posto termine all’istruttoria avviata a seguito della nota di un RPCT di un Consorzio di bonifica, trasmessa per conoscenza all’Autorità, con cui si era escluso che la nomina del Presidente fosse soggetta all’applicazione dell’art. 3 del d.lgs. 39/2013 (attuativo della c.d. Legge Severino) il quale prevede che “A coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, non possono essere attribuiti: gli incarichi di amministratore di ente pubblico, di livello nazionale, regionale e locale”.

Il RPCT, a supporto della propria decisione aveva evidenziato come, ferma la natura dei Consorzi di Bonifica quali enti di diritto pubblico non territoriali, la disciplina dell’inconferibilità, per come regolamentata dalla c.d. Legge Severino e suoi decreti attuativi, debba applicarsi solo a quell’amministratore il cui incarico sia conferito dall’amministrazione che ha istituito il Consorzio, ne esercita la vigilanza e ne finanzia gli interventi ovvero sia stato nominato dalla p.a. e dunque, riguarderebbe solo il rappresentante della Regione, da questa designato in seno alla deputazione consortile, e non già nè gli altri amministratori, tra cui il Presidente, che sono, invece, eletti dai consorziati, nè il rappresentante della Provincia, in quanto l’Ente provincia non istituisce né vigila né finanzia i Consorzi.

A riprova di tale tesi, poi, si era sottolineato come sull’elezione del Presidente nessun potere, incidenza, designazione o proposta spettasse alla Regione con riferimento a tale carica, ragion per cui una corretta interpretazione della normativa avrebbe dovuto condurre alla conclusione per cui l’inconferibilità degli incarichi è questione che riguarda solo quelli di nomina della Pa vigilante, in modo da evitare l’indiscriminata applicazione della limitazione anche a cariche cui si accede dopo elezioni.

Proprio questa eccezionalità della disciplina, in definitiva, imporrebbe di evitare qualunque sua interpretazione estensiva.

ANAC, tuttavia, partendo dal pacifico presupposto della natura di ente pubblico economico e dall’altrettanto pacifica circostanza, confermata ripetutamente dal Consiglio di Stato, per cui le disposizioni del d.lgs. 39/2013 trovano applicazione anche nei confronti degli enti pubblici economici, ha ritenuto di non aderire alla tesi interpretativa del RPCT, affermando che “una volta sussunto l’ente in una delle categorie soggettive di applicazione, l’Autorità ritiene che le ipotesi di inconferibilità e incompatibilità siano applicabili ai titolari di incarichi sopra elencati, secondo le prescrizioni delle singole fattispecie.
Infatti quanto sostenuto dal RPCT, ossia che sarebbe la Regione a esercitare la vigilanza sul consorzio, vale unicamente a inquadrare l’ente nella categoria di cui all’art. 1, comma 2, lett. b), e non a farne discendere l’esclusione della normativa a intere categorie di soggetti.”.

Per ANAC, dunque, occorre tener distinte le definizioni relative alla qualificazione giuridica di un ente e le definizioni degli incarichi presi in esame dal d.lgs. 39/2013 e in proposto si è ricordato come sull’inapplicabilità alle cariche elettive delle disposizioni di cui si discute i Giudici amministrativi (Consiglio di Stato n. 126/2018) abbiano già precisato come il conferimento dell’incarico tramite elezione non è elemento sufficiente all’esclusione dell’applicazione delle ipotesi di inconferibilità e incompatibilità.

Nell’’istruttoria, inoltre, viene anche sottolineato come nell’interpretazione della normativa non possa relegarsi a elemento secondario la circostanza per cui il ruolo di Presidente del Consorzio gode di rappresentanza e rilevanza esterna fondamentale, con potere di firma sui ruoli di contribuenza, e le delegazioni sui contributi consortili, cosicchè “L’interesse pubblico alla tutela dell’immagine e all’imparzialità dell’azione amministrativa, nonché il raggiungimento degli obiettivi dell’efficienza e dell’efficacia della stessa, che costituiscono il cardine dell’organizzazione e dell’attività della pubblica amministrazione, devono considerarsi prioritari rispetto alla possibilità per i soggetti che ricoprono determinate posizioni di svolgere attività che danno luogo ad inconferibilità”.

In conclusione, quindi, l’Autorità ha deliberato la nullità dell’atto di conferimento e il relativo contratto. Inoltre, poichè in base all’articolo 18 del d.lgs. 39/2013 “i componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli sono responsabili per le conseguenze economiche degli atti adottati”, nei loro confronti è stato avviato un procedimento e ciò con riguardo a tutti coloro che, alla data del conferimento dell’incarico, erano componenti dell’organo conferente (ivi inclusi i componenti cessati dalla carica) e con astensione per tre mesi dal conferimento di tutti gli incarichi di natura amministrativa di loro competenza.

La portata della decisione dell’ANAC, tuttavia, pur evidentemente in linea con comprensibili esigenze di piena trasparenza, non pare del tutto attagliarsi alle peculiarità ontologiche dei Consorzi di bonifica, considerati dall’Autorità alla stregua di enti pubblici “puri” quali, viceversa, non sono, rappresentando soggetti di diritto particolari nel nostro sistema giuridico.

Per tale ragione un approfondimento, non necessariamente destinato a concludere per l’erroneità della decisione dell’ANAC, sembra imporsi sull’argomento.

Leggi la delibera n. 290/2023




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