Appalti: annullamento del contratto per errore essenziale e legittimazione passiva della Regione (e non dei Consorzi di bonifica) per ingiustificato arricchimento

Una approfondita decisione della Corte d’Appello di Bari (la n. 515 pubblicata il 4 maggio 2017) chiarisce la differenza tra la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento e l’annullamento del contratto per errore essenziale sull’entità delle obbligazioni reciprocamente assunte tra le parti, oltre che individuare il soggetto legittimato passivamente all’azione di ingiustificato arricchimento.

La controversia prendeva le mosse dalla citazione in giudizio di un’Impresa nei confronti del Consorzio di Bonifica Montana del Gargano, rappresentato dall’avvocato Arcangelo Guzzo e dall’avvocato Claudio Martino, per la richiesta di annullamento per inadempimento del contratto di appalto di alcuni lavori irrigui e conseguente richiesta di risarcimento del danno per l’ammontare di oltre 2 miliardi delle vecchie lire.

L’Impresa attrice aveva sostenuto che, nonostante fossero stati completati l’85% dei lavori, il Consorzio di Bonifica non aveva provveduto a versare nè il 10% del prezzo dell’appalto, nè le rate d’acconto nella misura del 15% dell’importo dei lavori per ciascuna fase di avanzamento, lamentando, altresì, che erano intervenute modifiche al progetto per le quali il Consorzio aveva operato conteggi erronei in contrasto pure con la natura a forfait del contratto.

La difesa del Consorzio appaltante, viceversa, nel chiedere il rigetto della domanda avversaria, aveva evidenziato la sussistenza di un errore essenziale sull’entità delle rispettive obbligazioni, palesemente riconoscibile dalla Impresa aggiudicatrice dei lavori, e conseguentemente, aveva domandato l’annullamento dell’appalto.

In subordine si era chiesta la risoluzione per inadempimento della appaltatrice.

Chiamata in causa, la Regione Puglia si era difesa chiedendo il rigetto della domanda di manleva del Consorzio e formulando richiesta di risarcimento dei danni nei confronti del medesimo Consorzio.

Il Giudice di I grado ha accolto la domanda subordinata del Consorzio e l’Impresa attrice ha proposto appello.

Gli avvocati Guzzo e Martino, che hanno difeso il Consorzio anche in sede di impugnazione, hanno articolato le difese dell’Ente di bonifica chiedendo il rigetto dell’appello avversario e, con appello incidentale, hanno ulteriormente formulato domanda di accertamento dell’errore essenziale sul contenuto delle obbligazioni reciprocamente assunte nel contratto d’appalto con conseguente annullamento dell’atto.

Si è, altresì, insistito per la domanda di manleva nei confronti della Regione, la quale, nel costituirsi in giudizio, ha ribadito le proprie posizioni contrarie a quelle del Consorzio.

La Corte di Appello di Bari, accogliendo le prospettazioni difensive del Consorzio e sulla scorta delle due perizie espletate nel giudizio di I grado, ha potuto accertare come la prestazione dedotta nel contratto d’appalto “”(…) fosse per buona parte ineseguibile a causa di un consistente scostamento tra l’effettiva situazione dei luoghi e quella ipotizzata nel progetto (…)””, tanto che “”(…) le opere oggetto della prestazione dell’appaltatore dedotte nell’originario contratto, in ragione di quasi 1/2 (40%) erano inattuabili (…)””.

Su tale presupposto, dunque, i Giudici di appello hanno concordato con le difese del Consorzio laddove si sottolineava come l’Ente di Bonifica fosse incorso in una falsa rappresentazione della realtà, concretizzatasai in un errore essenziale e riconoscibile, come  codificato dall’art. 1428 e ss c.c..

Ed invero, in relazione all’essenzialità del vizio che affliggeva il contratto sin dalla stipulazione dell’appalto, la Corte di Appello di Bari ha evidenziato come l’errore incidesse in via diretta sull’identità dell’oggetto della prestazione prima ancora che sulla relativa valutazione economica, la quale è sì risultata inficiata, ma solo perchè conseguenza dell’errore sull’identità dell’oggetto di appalto.

Quanto, invece, alla riconoscibilità dell’errore, nella sentenza si è specificato come nel caso di specie l’Impresa appaltatrice “”(…) avesse avuto modo di eseguire ogni verifica sullo stato dei luoghi interessati dagli interventi convenuti (…)”” e che la consistenza e la complessità delle prestazioni oggetto di appalto rendeva impensabile“”(…) anche secondo un ordinario criterio di ragionevolezza – che l’Impresa appaltatrice non avesse – anche tramite tecnici di propria fiducia – la possibilità di eseguire prontamente e preventivamente le necessarie verifiche in loco (…)””.

Da tali elementi, dunque, la Corte ha fatto discendere la sussistenza di una negligente condotta dell’Impresa appaltante e la correlata riconoscibilità dell’errore sull’oggetto delle prestazioni, tale da invalidare l’appalto sin dall’origine.

Stante la natura retroattiva degli effetti dell’annullamento, poi, nella sentenza si è ribadito come l’unico rimedio esperibile dall’appaltatore che si duole per la non adeguata retribuzione delle prestazioni eseguite fosse l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.

Sul punto particolarmente significativa è stata la statuizione della Corte, laddove ha evidenziato come l’effettivo beneficiario dei lavori eseguiti dall’appaltatore non possa individuarsi nel Consorzio di Bonifica, essendo – viceversa – il proprietario dell’opera a trarne la relativa utilità.

Nel caso di specie, dunque, la domanda di ingiustificato arricchimento andava proposta non già nei confronti del Consorzio ma della Regione Puglia, che pur presente in giudizio non era stata oggetto della relativa richiesta dell’Impresa appaltatrice, la quale, conseguentemente, si è vista respingere la domanda, svolta, come detto, solo nei confronti dell’Ente di Bonifica.

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