La Corte di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia ha chiarito in modo esaustivo la relazione sussistente tra le irregolarità fiscali e i casi di esclusione ex art. 80 del Codice degli Appalti, oggetto di modifica con il D.L. n. 32/2019 poi abrogata in sede di conversione, nonostante la Commissione Europea avesse intentato proprio su questo specifico punto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.
La controversia prendeva le mosse dall’esclusione dalla gara di un’Impresa che, alla data di scadenza del termine di partecipazione, non era stata ancora destinataria di alcun atto impositivo o di alcun atto di esecuzione da parte dell’amministrazione finanziaria (le cartelle esattoriali le erano state notificate dopo circa un mese l’una e dopo tre mesi l’altra) e, tuttavia, era poi risultato che gli atti impositivi, emessi all’esito di un controllo di tipo automatizzato ex art. 36 bis D.P.R. n. 600/1973, inerivano ad un debito a suo tempo dichiarato (e quindi in teoria già esistente) dall’interessato ma poi non adempiuto nei tempi prescritti.
La partecipazione alla gara, dunque, era avvenuta in pendenza di un debito fiscale esistente ma non definitivamente accertato e da ciò il Giudici amministrativi di primo grado avevano tratto il convincimento A) che l’Impresa concorrente conoscesse la propria situazione fiscale già alla data di presentazione della domanda di gara; B) che tale situazione fosse già irregolare in ragione di un debito risalente ad alcuni anni prima,; C) che di tale irregolarità l’Impresa non avesse dato notizia alla stazione appaltante, incorrendo in una palese reticenza.
Sul punto la sentenza di appello rileva come debba necessariamente constatarsi, proprio a seguito dell’incompleto recepimento della direttiva europea che ha determinato il procedimento di infrazione sopra ricordato, che la disciplina nazionale in tema di esclusione dalla gare per irregolarità fiscale sia “molto garantista nei confronti del privato e non del tutto coordinata con il diritto tributario. Rilevano infatti, in senso escludente, solamente i debiti fiscali definitivamente accertati, per tali intendendosi quelli non contestati in giudizio nei termini di legge ovvero se contestati confermati dal giudice tributario sulla base di una sentenza non più soggetta ad impugnazione. Con la conseguenza che la proposizione di un ricorso dinanzi alla competente commissione tributaria (o di un appello o di un ricorso per cassazione), quand’anche manifestamente infondato, è comunque sufficiente a determinare (a perpetuare) la non definitività del debito e, in ultima analisi, a permettere nelle more la partecipazione alle gare, oltre tutto, a scapito degli altri concorrenti che siano invece (del tutto) in regola con il fisco (e magari, proprio per tale ragione, impossibilitati ad offrire ribassi oltre una certa misura).”.
Chiarisce, pertanto, il Collegio come, secondo la legislazione in materia di contratti pubblici, dovrà intendersi che “qualunque debito, per quanto rilevante in termini economici, purché (e finché) ancora oggetto di un giudizio tributario (proponibile o) pendente, non potrà essere motivo di esclusione ai sensi dell’art. 80, co. 4, codice dei contratti del 2016. Come si è già ricordato, la previsione della direttiva 24/2014, che permette alle stazioni appaltanti di valutare anche l’esistenza di debiti non ancora definitivi, sulla base di un prudente apprezzamento e attraverso una causa di esclusione di tipo facoltativo, non è stata recepita nel nostro sistema, neppure in occasione dell’ultimo intervento dedicato alla modifica di talune parti del codice dei contratti del 2016 (con il D.L. n. 32 del 2019 e la legge di conversione n. 55/2019).”
In aggiunta a tale ordine di argomentazioni, poi, la statuizione precisa un’altro aspetto che la vicenda posta all’esame dei Giudici amministrativi evidenzia.
Nel caso di specie, infatti, emerge la particolarità (prevista dal legislatore tributario in simili casi, quindi del tutto fisiologica) di un debito fiscale che non è stato mai oggetto di un avviso di accertamento, impugnabile immediatamente, ma che è sfociato direttamente in una cartella di pagamento che ha, quindi, costituito il primo e unico atto di riscossione con il quale l’amministrazione finanziaria ha chiesto al contribuente il pagamento del proprio debito.
Osserva, dunque, il Collegio come “il discorso che il Tar svolge per qualificare il debito come (comunque) già esistente al momento della dichiarazione fiscale da parte della società, e quindi in questo senso definitivo già alla data in cui la stessa società avrebbe dovuto effettuare il relativo versamento e (senza un’apparente ragione) non lo fece, molto prima che fossero emesse le cartelle di pagamento a motivo dell’inadempimento, per quanto meritevole di attenzione in linea teorica, non vale a rimuovere il dato di fondo per cui l’art. 80, co. 4, non si coordina alla perfezione con la disciplina fiscale propriamente intesa. L’art. 80, nel fare riferimento a “sentenze e atti non più soggetti ad impugnazione” sembra scritto, infatti, pensando essenzialmente alle pretese fiscali (che sono) oggetto di avvisi di accertamento, la cui inoppugnabilità o la cui conferma in giudizio rende “definitivamente accertate” le violazioni (ossia gli omessi pagamenti, nella soglia minima ritenuta rilevante) del contribuente.”
Interessante, inoltre, è la prosecuzione del ragionamento del Collegio laddove si afferma come “molto meno chiaro è invece se, a fronte di un avviso di accertamento divenuto già definitivo ovvero inoppugnabile, possa bastare l’impugnazione della cartella di pagamento, quale atto di riscossione esecutivo di detto avviso, per permettere al contribuente di invocare – magari a distanza di anni dal verificarsi del presupposto – la non definitività della sua irregolarità.”, concludendosi, però, come “nel caso di specie questo dubbio tuttavia non rileva, trattandosi come veduto di una cartella emessa in assenza di avviso di accertamento, a fronte di un debito che il contribuente da un lato conosceva per averlo dichiarato (lui stesso, anni prima) al fisco e, dall’altro, poteva, non senza qualche contraddizione logica, ignorare in sede di gara perché ancora non oggetto di (o contenuto in) un atto dell’amministrazione finanziaria (tanto più che non consta, ossia non vi è prova in questo giudizio, che la cartella fosse stata preceduta dal cd. avviso bonario debitamente comunicato al suo destinatario).”.
In definitiva, pertanto, “tirando le fila di questo lungo ragionamento e (nel dubbio) privilegiando(si) il dato letterale (e indubbiamente molto garantista) dell’art. 80, co. 4,”, la massima resa dalla sentenza n. 758/2019 statuisce in tal senso: “trattandosi di atti notificati al destinatario comunque in epoca successiva al termine di scadenza della domanda di gara (v. anche Cons. St., V, n. 59/2018), per un debito che nel suo complesso il contribuente ha poi chiesto di rateizzare e la cui istanza è risultata accolta, reputa il Collegio che non vi siano e non vi fossero i presupposti in senso stretto per escludere il concorrente dalla gara.”.
Leggi la sentenza del CGARS n.758/2019