L’accesso civico generalizzato negli appalti è sempre legittimo?

Come noto, in materia di appalti, l’art. 53 del Codice stabilisce che “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241″.

 Nel contempo il D.Lgs. n. 97/2016, nel modificare il D.Lgs. n.33/2013 sul diritto di accesso civico  nei confronti della pubblica amministrazione, ha introdotto l’art. 5-bis affermando al comma 3 che Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.”

A fronte, dunque, di una richiesta di accesso civico generalizzato rivolto ad una Stazione appaltante in relazione agli atti di una procedura di gara ormai definita (in particolare ai singoli atti della procedura, al contratto stipulato con l’aggiudicataria, ai preventivi dettagliati, ai collaudi, ai pagamenti con la relativa documentazione fiscale dettagliata), la Stazione appaltante aveva opposto diniego, proprio sulla base di quanto previsto dall’art. 5 bis sopra riportato, ottenendo ragione dal Giudice di primo grado.

Con la sentenza n. 3780 del 5 giugno 2019, il Consiglio di Stato, tuttavia, ha riformato la sentenza impugnata ed ha chiarito il coordinamento tra le suddette norme, che ha dato adito a diverse interpretazioni giurisprudenziali.

La statuizione conclude per l’illegittimità del diniego della richiesta di accesso civico generalizzato riguardante gli atti di una procedura di gara ormai definita e ciò sulla considerazione che la normativa di limitazione all’accesso civico di cui all’art. 5-bis, per come introdotta dal D.Lgs. n.97/2016, non deve essere interpretata nel senso di esclusione di alcune materie dal relativo campo di applicazione, ma solo quale disciplina regolamentare di tale limitazione in relazione a “specifiche condizioni, modalità e limiti”.

Il ragionamento del Consiglio di Stato, dunque, muove dal presupposto che diversamente argomentando si escluderebbe l’intera materia dei contratti pubblici da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto del principio fondamentale di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione; principio posto anche alla base della normativa degli appalti, che, conseguentemente, non può essere interpretata in conflitto con la disciplina del D.Lgs. 33/2013.

Osserva, infine, il Consiglio di Stato, che l’apparente disarmonia normativa deve imputarsi non già a ragioni sostanziali ma ad un mera mancanza di coordinamento, dovuta alla circostanza per cui l’art. 53 del Codice degli appalti, che fa riferimento alla L. 241/90, è entrato in vigore poco prima del D.Lgs. n. 67/2016, che ha modificato la disciplina sull’accesso civico, introducendo l’art. 5-bis.

Leggi la sentenza del Consiglio di Stato n. 3780/2019

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