Una controversia sorta tra un Ente pubblico e una società mista, costituita dal medesimo Ente con un socio privato selezionato mediante procedura ad evidenza pubblica, è stata l’occasione per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, adite con ricorso per regolamento di giurisdizione, di puntualizzare la natura degli atti stipulati per lo sfruttamento ai fini idroelettrici dei salti d’acqua presenti sulle condotte gestite dall’Ente stesso e individuare, conseguentemente, la corretta giurisdizione.
In particolare l’ordinanza n. 29824 del 30 dicembre 2020 ha accolto integralmente tutte le prospettazioni dell’avvocato Claudio Martino, che aveva assistito la società mista ricorrente, destinataria di un “decreto” di revoca della concessione oggetto del contratto stipulato con l’Ente di Irrigazione per l’uso degli impianti necessari all’iniziativa imprenditoriale di produzione di energia elettrica.
Più nello specifico, il Supremo Collegio ha dapprima sottolineato la correttezza della scelta difensiva della società mista (attrice nel giudizio di merito instaurato innanzi al Tribunale ordinario) di proporre regolamento preventivo di giurisdizione, poichè sussiste “in presenza di ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione del giudice adito, un interesse concreto e immediato alla risoluzione da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in via definitiva, per evitare che vi possano essere successive modifiche della giurisdizione nel corso del giudizio, così ritardando la definizione della causa, anche ai fini di ottenere un giusto processo di durata ragionevole”.
Dopo questa premessa, poi, le Sezioni Unite hanno eseguito una chiara disamina sull’esatta qualificazione giuridica da riconoscere al “decreto” contestato, che andava ad incidere sulla fase esecutiva del contratto stipulato.
Anche su tale punto sono state totalmente condivise le argomentazioni della società ricorrente, che aveva opportunamente evidenziato come una volta selezionato il socio privato e costituita la società mista e una volta stipulato con i predetti il contratto di concessione d’uso degli impianti, non poteva certo più considerarsi residuato alcun potere autoritativo di natura provvedimentale in capo all’Ente pubblico nei confronti sia della società mista che del socio privato.
La totalità dei rapporti inter partes, infatti, ormai ricadeva nella regolamentazione privatistica di esecuzione del contratto stipulato per lo sfruttamento dei salti per la produzione di energia; regolamentazione da disciplinare per un verso dallo statuto della società mista (e dalle norme tutte corrispondentemente applicabili) e per altro verso dalle pattuizioni contenute nel contratto stesso.
Da tale ineccepibile inquadramento della natura giuridica dell’atto su cui è sorta controversia, dunque, le Sezioni Unite sono giunte alla inevitabile conclusione per cui la società mista del tutto correttamente aveva instaurato la controversia con l’Ente pubblico innanzi al Giudice ordinario e non già a quello amministrativo, motivandosi la statuizione sulla base di un duplice ordine di argomentazioni:
– “costituisce principio generale che nelle procedure ad evidenza pubblica, (…) la cognizione di comportamenti ed atti relativi alla fase dell’esecuzione del rapporto contrattuale spetta alla giurisdizione del giudice ordinario” e, nel caso di specie, la domanda formulata dalla società ricorrente chiedeva proprio di far valere i rapporti contrattuali instaurati con il contratto di sfruttamento dei salti d’acqua, previo accertamento della natura negoziale e non già provvedimentale della “revoca”, che, dunque, doveva essere valutata nell’ottica dell’istituto privatistico dell’inadempimento;
– deve escludersi la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo la quale postula che venga messo in discussione “l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo”, circostanza, questa che non si è verificata nel caso di specie perchè le prospettazioni su cui la società ricorrente ha basato la propria domanda argomentavano a partire proprio dall’inesistenza di qualsivoglia potere amministrativo in capo all’Ente che ha emanato l’atto controverso o, in subordine, miravano alla disapplicazione e non già all’annullamento dell’atto.
Proprio in base a tale ultimo profilo, inoltre, l’ordinanza precisa anche le motivazioni per cui non ha potuto condividere gli assunti del Procuratore Generale della Corte di Cassazione che aveva concluso per l’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo, da individuarsi nel Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sul rilievo che “l’oggetto del giudizio di impugnazione promosso attiene ad un atto incidente sulla materia della gestione delle acque pubbliche, trattandosi di concessione di derivazione di acque di uso idroelettrico”.
Le Sezioni Unite, infatti, hanno sottolineato come nella controversia esaminata “la società attrice chiede esclusivamente l’accertamento dei diritti contrattuali di cui essa si assume titolare nei confronti dell’Ente di Irrigazione, negando che tali diritti siano stati incisi dal decreto (…), del quale ultimo chiede negarsi la stressa natura di provvedimento amministrativo o, in ipotesi, acccertarsi l’illegittimità per ottenerne non l’annullamento bensì la disapplicazione”.
Con la conseguenza che la controversia deve dirsi esclusa dalla giurisdizione di legittimità del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, il cui ambito, infatti, “pur estendendosi ai provvedimenti definitivi presi in materia di acque pubbliche da amministrazioni diverse dal quelle preposte istituzionalmente alla materia delle acque (…) presuppone pur sempre che l’oggetto del giudizio sia un atto di esercizio di potere amministrativo”.
Leggi l’ordinanza n. 29824 del 30 dicembre 2020