Il T.A.R. Lazio con la sentenza n. 11306 del 18 settembre 2015 ha confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la revoca di un provvedimento amministrativo costituisce esercizio del potere di autotutela della p.a. implicante la necessità di esplicitare le ragioni giustificanti la nuova determinazione.
La revoca, pertanto, non può assumere forma implicita, pena la violazione dell’ art. 3 L. 7 agosto 1990 n. 241 (che prescrive l’obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi).
La sentenza in esame ha poi specificato, in riferimento al risarcimento del danno da illegittimo esercizio del potere amministrativo, come sia necessario che il danno medesimo venga adeguatamente provato sia con riferimento all’an che al quantum.
Il Tribunale Amministrativo ha, infatti, spiegato come sia ormai principio consolidato quello per il quale – in disparte la materia degli appalti pubblici secondo la conclusione della giurisprudenza comunitaria – il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica della pronuncia del giudice della legittimità.
E difatti l’illegittimità dei provvedimenti amministrativi non è sufficiente a riconoscere “in re ipsa” l’esistenza di un danno risarcibile, essendo invece necessario un apporto probatorio del danneggiato.
In altre parole, ai fini del risarcimento del danno provocato dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo, l’interessato, ai sensi dell’art. 2697 c.c. , è tenuto a fornire in maniera rigorosa la prova dell’esistenza del danno ““trovando anche nel giudizio risarcitorio avanti al giudice amministrativo piena applicazione il principio dell’onere della prova e non invece l’onere del principio di prova che, almeno tendenzialmente, si applica in materia di interessi legittimi, con la precisazione che il giudice può intervenire in via suppletiva, con la liquidazione equitativa del danno, solo quando non possa essere fornita la prova precisa del quantum di danno, restando fermo che l’an dello stesso deve essere provato dall’interessato””.