Dopo che la Commissione Europea, con la lettera del 24 gennaio 2019, aveva messo in mora l’Italia ed altri 14 Stati membri con riferimento alla conformità delle rispettive legislazioni nazionali alle norme dell’UE su appalti pubblici e concessioni, la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata sulle disposizioni del Codice degli appalti italiano che limitano, in via generale e astratta, il ricorso al subappalto in una percentuale massima del 30% (o del 40%, secondo la modifica del decreto c.d. Sblocca-cantieri).
Nella sentenza del 26 settembre 2019 (causa C-63/2018) si è statuita la contrarietà al diritto europeo delle limitazioni stabilite nell’ambito del subappalto.
La questione pregiudiziale era stata sollevata dal Tar Lombardia, chiedendosi alla Corte Europea se gli articoli 49 e 56 TFUE e la direttiva 2014/24 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che limita la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.
Nell’affermare che sono da considerarsi vietati i limiti assoluti alle prestazioni che possono essere subappaltate a terzi dall’affidatario di un appalto pubblico, la Corte di Giustizia muove il proprio ragionamento dal presupposto per cui la direttiva 2014/24 ha come obiettivo quello “di garantire il rispetto, nell’aggiudicazione degli appalti pubblici, in particolare, della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, e dei principi che ne derivano, in particolare la parità di trattamento, la non discriminazione, la proporzionalità e la trasparenza, nonché di garantire che l’aggiudicazione degli appalti pubblici sia aperta alla concorrenza.”
Conseguentemente, secondo le prospettive del Giudicante comunitario, un limite generale e astratto alle prestazioni subappaltabili a terzi, valido per tutti gli appalti e a prescindere dalla soglia, sarebbe incompatibile con la relativa direttiva, e ciò anche laddove le limitazioni previste dalla legislazione nazionale fossero inserite per motivazioni attinenti al contrasto della criminalità organizzata, come sostenuto dal Governo italiano nelle proprie difese, in cui si era evidenziato che, nel nostro Paese, il subappalto è sempre stato interessato da pesanti fenomeni di infiltrazioni malavitose, che – inevitabilmente – compromettono la corretta esecuzione delle opere pubbliche.
I giudici europei, tuttavia, pur non negando che, in astratto e nell’ottica segnalata dal Governo italiano, sarebbe possibile per il legislatore nazionale prevedere limitazioni più rigorose rispetto a quelle previste dalla direttiva in materia di subappalto, sottolineano come la restrizione quantitativa al ricorso al subappalto non è la soluzione adeguata perchè eccede l’obiettivo di contrasto alla criminalità, arrivando a ledere il principio della libera concorrenza e partecipazione d’impresa.
Nello specifico si sottolinea come “nell’ambito di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, per tutti gli appalti, una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev’essere realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione”, aggiungendosi come già il TAR Lombardia aveva evidenziato l’esistenza nel diritto italiano di “numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese.”.
La Corte, pertanto, conclude affermando che “Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione pregiudiziale dichiarando che la direttiva 2014/24 dev’essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.”.
A fronte di una statuizione così dirompente, gli interrogativi che ora si aprono nell’applicazione della normativa sulla limitazione nel subappalto necessitano di un’urgente risposta, poichè – a rigore – le norme interne, laddove non conformi a quelle europee, devono essere disapplicate ad opera del giudice, ma anche da parte della pubblica amministrazione.
Il rischio è che se per un appalto si continuasse ad indicare la percentuale massima di subappalto, come stabilita dall’art. 105 comma 2 del Codice degli appalti, il bando potrebbe essere impugnato da qualche partecipante sul presupposto della non conformità dell’atto al diritto dell’Unione Europea.
Senza considerare che la sentenza della Corte di Giustizia non prende espressamente in considerazione (nel rispetto del principio di corrispondenza del chiesto e pronunciato) l’ipotesi di procedure sotto soglia comunitaria e di procedure in cui vi siano lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali (SIOS).
La soluzione interpretativa della corretta applicazione dell’art. 105 del Codice degli appalti, quindi, è, anche sotto tale profilo, tutta da trovare.
Leggi la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26 settembre 2019