La revoca di un appalto per grave inadempimento dell’impresa non può essere superata mediante l’affidamento dei medesimi lavori nell’ambito di un accordo transattivo per la composizione delle lite sorta proprio a riguardo dei gravi inadempimenti lamentati dalla stazione appaltante.
In materia di appalti pubblici, infatti, non è ammissibile ipotizzare un accordo transattivo che abbia ad oggetto i lavori revocati configurando la fattispecie come novazione del rapporto e a tal proposito ANAC con il parere di indirizzo generale n. 23 del 17 maggio 2023, reso nell’ambito di lavori di messa in sicurezza e ripristino della viabilità stradale dopo il terremoto che ha colpito anche le Marche nel 2016, ha opportunamente chiarito il perimetro in cui l’istituto della transazione può essere esercitato nell’ambito dei contratti pubblici.
In particolare si è ricordato come se astrattamente nulla osta a che l’amministrazione raggiunga un accordo transattivo con l’appaltatore per dirimere controversie sorte in sede di esecuzione del contratto, in concreto deve però sempre tenersi in debita considerazione la particolare natura giuridica del rapporto instaurato tra le parti, sorto a seguito della procedura di scelta del contraente soggetta al regime pubblicistico.
“Così, mentre deve ritenersi praticabile in ambito pubblicistico una transazione c.d. “semplice”, ossia semplicemente modificativa della situazione giuridica dedotta in lite, deve escludersi invece l’ammissibilità di una transazione “novativa”, intesa come accordo mediante il quale si instaura con l’appaltatore un nuovo e diverso rapporto contrattuale, per soddisfare un interesse diverso da quello dedotto nel contratto originario concluso a seguito di una procedura ad evidenza pubblica (ex multis delibera n. 56/2008 cit.).”
E’ dunque il carattere imperativo ed indisponibile dei sistemi di affidamento degli appalti pubblici a precludere la conclusione di accordi transattivi, dal momento che tacitare le pretese avanzate dall’appaltatore in sede giurisdizionale in cambio di un nuovo affidamento di lavori andrebbe ad alterare “sostanzialmente e radicalmente l’assetto negoziale definito con l’aggiudicazione”.
In altre parole verrebbe a individuarsi una fonte nuova del rapporto e un un diverso titolo dell’affidamento dell’appalto, in violazione delle disposizioni inderogabili “che regolano la scelta del contraente e la definizione del contenuto del contratto.”, oltre che costituire “un grave vulnus agli equilibri concorrenziali”.
Del resto – si ricorda nel parere ANAC – tutti questi principi sono stati ampiamente discussi ed approfonditi anche dal Legislatore e dalla giurisprudenza comunitaria, dovendosi così concludere come non appaia conforme “(…) alla disciplina di settore un’ipotesi di transazione di controversie relativa a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici, con la quale si proceda ad assegnare l’esecuzione di nuove opere all’appaltatore originario, o a riassegnare le stesse opere all’appaltatore con il quale sia intervenuta una risoluzione contrattuale, trattandosi di modalità di affidamento di appalti pubblici in violazione delle disposizioni del Codice, contemplante sistemi di aggiudicazione dei contratti pubblici tassativi e improntati al rispetto dei principi (…) di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità (…)”.